Stagione complessa per il rugby femminile

Il comitato esecutivo del World Rugby ha formalmente deciso di posporre i mondiali di rugby del 2021 al 2022.

L’associazione sottolinea l’impossibilità di poter assicurare viaggi in sicurezza per tutte le squadre, fornire un ambiente con alte prestazioni di allenamento a causa della quarantena obbligatoria di 14 giorni all’arrivo in Nuova Zelanda, preparare adeguatamente le squadre vista l’impossibilità di alcune di sostenere test match nei 12 mesi precedenti il torneo.
Inoltre organizzare le partite di qualificazioni date dall’imprevedibilità di quarantene improvvise per le atlete, dare accesso allo stadio ai fan non potendo così garantire visibilità al rugby femminile, riuscire a rispondere adeguatamente ad eventuali rischi che potrebbero sorgere nei prossimi sei mesi compromettendo il torneo in toto.

Le preoccupazioni rimangono le stesse alla base del rinvio del sei nazioni, che all’oggi conferma la data di inizio al 3 aprile, con la nazionale italiana in campo contro l’Inghilterra il 10. La difficoltà per la maggior parte delle squadre resta il poter garantire le bolle di isolamento per i mondiali perché nella maggior parte delle squadre, Italia compresa, le atlete non sono considerate professioniste e in altri casi, come l’Irlanda, la squadra non è considerata di élite e potrebbe quindi avere difficolta ad intraprendere trasferte transfrontaliere in caso di lockdown.

Altro tema caldo quello dei probabili infortuni, discorso affrontato nel sei nazioni. Chi rischia di farsi male, rischia anche di saltare le imminenti olimpiadi perché si temono tanto gli infortuni? Perché in Italia, come in altri paesi, le atlete sono ferme da mesi. La serie A Italiana ha disputato la sua ultima partita a gennaio del 2020, mentre la Nazionale è scesa in campo l’ultima volta contro l’Inghilterra il 1° novembre 2020.

La maggior parte delle realtà del rugby femminile si trovano nella stessa situazione, all’oggi infatti solo in Inghilterra e Nuova Zelanda le rugbiste in nazionale sono professioniste a pieno titolo, mentre in alcune altre squadre come Francia e Galles sono semi-pro oppure le squadre contano un limite massimo di professioniste per stagione.

In Europa, l’Inghilterra si distingue per il suo campionato Premier 15s, dove il limite salariale per le squadre dei club partecipanti è stato perfino raddoppiato nel 2021 (da 60 and 120 mila sterline).
Investire nelle squadre ad alto livello vuol dire far crescere la competitività e prestazione delle atlete a livello nazionale, dare la possibilità alle giocatrici di impegnare il loro tempo e le loro energie nello sport in cui giocano professionalmente.
Le differenze nelle possibilità di crescita e impegno in ogni nazionale sono infatti radicali, e quest’anno la pandemia ha messo ancora più in risalto svantaggi e penalità di avere atlete di élite professioniste sul campo ma non sulla carta.

Quest’anno, ed è una buona notizia, a 15 atlete della Nazionale italiana hanno ricevuto delle borse di studio, e ciò segna un passo verso il cambiamento. Ciò nonostante, la mancanza di professionismo tiene le atlete legate alla necessità di mantenersi lavorando, impedendo non solo l’opportunità di creare bolle di isolamento (necessarie durante la pandemia) ma anche di dedicare più tempo al rugby e performance sportiva.

E a ricordarci quanto siamo ancora lontani dalle pari opportunità ci ha pensato il Presidente del CONI Giovanni Malagò che all’Assemblea Generale Ordinaria della FIR del 13 marzo 2021 nel suo breve intervento ufficiale esordisce con: “(…)più che mai oggi, avendo due figlie femmine, avrei avuto un figlio maschio e sarei stato felice avesse giocato a rugby.”

Una pessima caduta di stile, nel weekend nel quale la nazionale femminile era in raduno a Parma per prepararsi al Sei Nazioni. La nazionale che nel Sei Nazioni  del 2019 è arrivata seconda (quarta nel 2020, in un torneo caratterizzato da rinvii e sospensioni) e questo 10 aprile sfiderà le prime classificate Inglesi.

Lo sguardo dei fans oggi è rivolto appunto all’imminente torneo che, se ben organizzato, svolgendosi da solo e distaccato dal Sei Nazioni maschile attualmente in corso, potrebbe significare una maggiore visibilità per le giocatrici, il movimento ed il torneo, e dare meritatamente spazio alle squadre in gara.

di Shadi Firouzi Tabar